Tu sei qui

Intitolazione

Intitolazione

L’intitolazione della Scuola Secondaria di I° Grado all’illustre beneventano Federico Torre (1815-1892) avvenne con R.D. del 21 dicembre 1893.

Storia del Patriota Federico Torre

Federico Torre, nasce a Benevento il 27 aprile 1815, da Giovanni e M. Giuseppina Fallace. Vivace ed irrequieto frequenta le aule del Collegio gesuitico “La Salle” di Benevento.

Compiuti gli studi umanistici per i quali avrà sempre grande predilezione, nel 1840 si laurea alla Sapienza di Roma in Filosofia e Matematica. Conseguita una seconda Laurea in Ingegneria (1843), si dedica a quest'ultima attività, facendo parte di un'impresa costruttrice di ferrovie, senza mai trascurare gli studi della sua adolescenza, tant’è che scriverà vari saggi di critica sull’arte e alcune biografie, come quelle del Pellico e del Perticari. Nel 1846 partecipa con grande entusiasmo, al movimento letterario e artistico romano e alla lotta fra romantici e classicisti da cui scaturisce la lotta politica nell’ambito delle concesse riforme e della non lontana rivoluzione. Il 12 dicembre 1846, sotto Pio IX, insieme a Ludovico Potenziani, Luigi Masi e Carlo Gazola, partecipa alla pubblicazione, in Roma, del periodico “Il Contemporaneo” con il quale, sin dal secondo numero, patrocinia l'istituzione di asili infantili, istituzione completamente trascurata dallo Stato Pontificio (il primo asilo nel Rione Trastevere fu aperto con grande soddisfazione del Torre nel gennaio del 1848). In questo periodo apprende con orgoglio che la prima stampa dell’opera “Del Primato morale e civile degli italiani” di V. Gioberti era stata effettuata, clandestinamente, proprio nella sua amata Benevento che, all’epoca, aveva una stamperia proprio nel Palazzo Arcivescovile. La carica di Ufficiale della Guardia Civica, nel 1847, lo porta poi a Napoli: da qui dà voce, in numerosi articoli, alla necessità di una lingua "veramente italiana... unico legame, dopo la Religione, che divisi ci unisce", rilevando anche, attraverso dibattiti strettamente politici, sia gli incerti atteggiamenti del Governo nelle iniziate e non proseguite riforme, sia i danni causati da gli uomini del passato chiamati o rimasti al potere. Gli giungono gli echi delle “Speranze d’Italia” di C. Balbo, del “Saggio politico-militare” di G- Durando, in cui l’autore teorizza la propria concezione federalista dell’Unità d’Italia ed inoltre gli echi de “Gli ultimi casi di Romagna” di M. D’Azeglio. Questi ferventi stimoli conducono Federico Torre a partecipare a questa lotta di idee e di tendenze, gridando ai popoli, grazie anche alla divulgazione del noto giornale “Il Contemporaneo”, che “contro la tirannia, unico rimedio era la rivoluzione”. Il primo tentativo insurrezionale si ha nel 1848 con la prima guerra d'Indipendenza alla quale Federico Torre prende parte col grado di Tenente d'artiglieria, agli ordini del generale Durando, dove rimane ferito nel tentativo di arginare l'avanzata dell'esercito austriaco sul monte Bérico, presso Vicenza. Eletto deputato per Benevento nel giugno del 1848 torna a Roma sedendo nei banchi della sinistra. In questo periodo fronteggia energicamente una folla tumultuante che si appresta ad adoperare il cannone per aprire un varco nel Quirinale, sede del Papa, ma con la fuga di Pio IX a Gaeta e la proclamazione della Repubblica, F. Torre viene nominato Segretario generale del Ministero delle Armi e oltre ad organizzare l'esercito degli insorti prende parte attiva alla difesa di Roma. Per la sua condotta gli viene decretata dal triumvirato SAFFI-MAZZINI-ARMELLINI la medaglia d'oro, che Benevento orgogliosamente sentirà sua. Restaurato il potere pontificio, il motu-proprio del Papa concede un'amnistia per i reati politici, ma non per i membri del Governo rivoluzionario, pertanto Federico Torre (che aveva avuto l'incarico di Reggente del Ministero delle Armi) fu costretto all’esilio e sopporta dignitosamente la miseria, sostenuto dal coraggio nelle avversità, la fede nell’avvenire e la ferma coerenza dei suoi principi politici. In esilio Federico Torre si reca prima a Malta, dove conosce Crispi e Ruggero Settimo, quindi in Grecia, dove riprende gli studî letterari e storici, a Genova, dove comincia a scrivere, con scrupolosa obiettività dal punto di vista storico, tecnico e militare, le ingiustamente dimenticate Memorie storiche dell'intervento francese in Roma nel 1849 (vol. I, Savoiardo e Bocco, 1851; vol. II, Tip. del Progresso, 1852) e ribatte le affermazioni del Thiers dell'Oudinot sulla legittimità di quell'intervento. Ripara infine a Torino dove pubblica quest’ultimo suo lavoro e pone mano, in collaborazione con il filologo Luigi della Noce, al Vocabolario Latino-Italiano e Italiano-Latino. Legato da amicizia a Nicolò Tommaseo, viene da lui invitato col Camerini e col Fogliani a compilare anche il Dizionario della lingua italiana. L'amarezza dell’esperienza dell’esilio non scalfisce in nessun modo il forte carattere di Federico Torre: inascoltato rimane, infatti, il desiderio del padre che lo invita a chiedere la grazia. È del 1850 una lettera con la quale Federico Torre risponde alle premure paterne: "Non posso accettare gli uffici di nessuno per ritornare a casa. Io amo più di ogni altra cosa il mio paese. Per la sua indipendenza ho combattuto e esposta la vita; per la sua libertà ho scritto, ho cooperato con tutte le mie forze al suo bene e tutto ciò non per pompa o per speculazione, bensì per intimo sentimento... Dopo di ciò voi capite che io non posso, non voglio e non debbo chiedere grazia a chicchessia". Nel 1859, Federico Torre viene reintegrato nell'antico grado passando all'esercito piemontese; si reca in Toscana per organizzarvi con il generale Mezzacapo una divisione di Romani e Romagnoli con i quali marcerà su Bologna nella Seconda Guerra d’Indipendenza, recandosi poi alla Cattolica dove dirige i lavori di fortificazione contro l'esercito pontificio, che mirava al recupero delle Romagne. Colonnello, poi, alla Direzione del genio e dell'artiglieria in Bologna e quindi a Parma capo di Stato maggiore di quel dipartimento militare, viene chiamato a Torino dal gen. Fanti che gli affida l'incarico del reclutamento dell'esercito e dell'introduzione della leva in tutte le regioni d'Italia: ufficio che Federico Torre tiene per trent’anni raggiungendo il grado di tenente generale. In questo non facile compito di trasformazione e ricostruzione di un esercito divenuto italiano egli dà prova di somma perizia e di sagace spirito organizzatore e le sue “Relazioni sulla Leva e Truppa” saranno lodate anche da insigni tecnici stranieri, quale il Moltke (Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke, generale prussiano, detto il Vecchio). Nel 1861, con l’Unità d’Italia, ha vita fra le province italiane anche la provincia di Benevento, già voluta da Garibaldi, e il 27 gennaio di quello anno, la Città eleggeva con 501 su 509 votanti, Federico Torre a suo rappresentante nel Parlamento Nazionale. Con i suoi consigli sorregge la nascente provincia della quale era governatore il fratello maggiore Carlo e la difende da gelosie e da ostacoli frapposti dalle province divenute sue confinanti; questa sua filiale attività "serva del dovere e schiava della coscienza" non viene meno nelle successive elezioni politiche ricoprendo il ruolo di rappresentante della città per ben sei legislature. Scrive in questo periodo una memoria indirizzata al ministro degli Interni - Della circoscrizione della Provincia di Benevento - pubblicata da Antonio Mellusi nel 1921, con il titolo Un manoscritto di Federico Torre. Nel 1876 per il sopravvento della sinistra, il generale Torre aspramente combattuto dal ministro Nicotera, non viene rieletto deputato. Rieletto alla Camera cinque anni dopo diviene, nel 1884, Senatore del Regno e difenderà la sua Benevento nelle varie battaglie elettorali, con fede immutata per la libertà ed il progresso civile. Sin dai tempi dell'esilio in Piemonte, Federico Torre aveva dato inizio ad una raccolta di autografi, incunaboli e libri sulla sua terra che, insieme a numerosi altri volumi - oltre duemila -, donò alla Biblioteca Arcivescovile di Benevento creata da Francesco Pacca. Morì, a Roma, il 6 dicembre 1892, pianto dalla moglie Leontina Vimercati-Sanseverino e dalla figlia Carolina. Il 29 ottobre del 1950 la città eresse un busto, commissionato allo scultore Michelangelo Parlato, a sua memoria e a lui fu intitolato un collegio beneventano di inizio '900.

 

Onorificenze

Italiane

  •   Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
  •   Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia
  •   Medaglia d'argento al valor militare
  •   Medaglia commemorativa delle campagne delle Guerre d'Indipendenza (3 barrette)
  •   Medaglia a ricordo dell'Unità d'Italia

Straniere

  •  Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico)

 

Sito realizzato e distribuito da Porte Aperte sul Web, Comunità di pratica per l'accessibilità dei siti scolastici, nell'ambito del Progetto "Un CMS per la scuola" - USR Lombardia.
Il modello di sito è rilasciato sotto licenza Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported di Creative Commons.

CMS Drupal ver.7.65 del 20/03/2019 agg.27/11/2022